Condono edilizio: alcune peculiarità

Rivisitiamo, con l’ausilio delle pronunce dei Giudici amministrativi alcune delle principali peculiarità del condono edilizio.

L’art. 31, comma 2, della legge n. 47/1985, richiamato dalla normativa condonistica del 2003 (cfr. art. 32, comma 25, del decreto legge n. 269/2003), così recita: “Ai fini delle disposizioni del comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.

Sulla base della suddetta disposizione, ai fini dell’ammissibilità del condono edilizio, si è ormai consolidato il principio che l’ultimazione dell’opera abusiva ad uso residenziale può ritenersi avvenuta se l’immobile è stato almeno eseguito al rustico, ossia completato in tutte le sue strutture essenziali, comprese le tamponature, cioè le murature perimetrali, le quali sono necessarie per stabilire la relativa volumetria e la sagoma esterna (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. V, 3 giugno 2013 n. 3034; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 16 gennaio 2014 n. 310). Invero, con sentenza n. 806 del 13 febbraio 2009 i giudici amministrativi si sono espressi nel senso della non applicazione della richiamata disciplina sul condono edilizio alle nuove costruzioni non residenziali.

In quella pronuncia il Collegio ha rilevato che la norma in esame non compie distinzioni tra opere residenziali e non residenziali solo con riguardo agli ampliamenti, mentre per le nuove costruzioni ogni riferimento concerne solo quelle residenziali. Tali erano state sia l’interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione Penale sia quella desumibile dai lavori preparatori della legge n. 326/2003 di conversione del decreto legge n. 269/2003.

Tale orientamento, definitivamente consolidatosi nella giurisprudenza penale di legittimità (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 27 aprile 2011 n. 19330 e 19 gennaio 2007 n. 8067), è stato prima condiviso in linea di principio dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4/2009, che ha ritenuto la tassatività delle categorie tipologiche che possono beneficiare del condono, e poi da tutta la più recente giurisprudenza amministrativa, secondo cui, ai sensi dell’art. 32, comma 25, cit., le disposizioni sul condono edilizio del 2003 si applicano limitatamente alle nuove costruzioni aventi destinazione residenziale, non essendo ammissibile, in presenza di una tale normativa eccezionale e perciò di stretta interpretazione, postulare un’estensione a nuove costruzioni aventi destinazione non residenziale (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 aprile 2015 n. 1917; TAR Campania Napoli, Sez. II, 9 settembre 2011 n. 4366). Infatti, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, il silenzio assenso previsto in tema di condono edilizio non si forma solo in virtù dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione comunale e dell’adempimento degli oneri documentali ed economici necessari per l’accoglimento della domanda, ma occorre, altresì, la prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi ai quali è subordinata l’ammissibilità del condono, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo per il condono del 2003, il fatto che l’immobile ad uso residenziale risulti ultimato, ossia completato al rustico, entro il 31 marzo 2003. Ne deriva che il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto ove la domanda sia conforme al relativo modello legale e, quindi, sia in grado di comprovare che ricorrano tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, inclusa la tempestiva ultimazione dell’opera abusiva, impedendo in radice la mancanza di talune di queste che possa avviarsi (e concludersi) il procedimento di sanatoria (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015 n. 3661; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 25 febbraio 2016 n. 1032.

Il mancato rispetto del termini previsti dall’art. 2 della legge n. 241/1990 per la conclusione del procedimento amministrativo (anche di condono), non è idoneo a determinare l’illegittimità del provvedimento finale, trattandosi di termini acceleratori per la definizione del procedimento ed atteso che la legge non contiene alcuna prescrizione sulla decadenza della potestà amministrativa né qualifica come illegittimo il provvedimento adottato tardivamente (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 1° dicembre 2010 n. 8371).

Sull’obbligo di motivazione

Invero, l’obbligo, ex artt. 10 e 10-bis della legge n. 241/1990, di esame delle memorie e dei documenti difensivi presentati dagli interessati nel corso dell’iter procedimentale, non impone all’amministrazione una formale ed analitica confutazione di ogni argomento utilizzato dagli stessi, essendo sufficiente, alla luce dell’art. 3 della legge medesima, un’esternazione motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione amministrativa alle deduzioni partecipative dei privati (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 maggio 2012 n. 3210; Consiglio di Stato, Sez. V, 13 ottobre 2010 n. 7472; TAR Campania Napoli, Sez. III, 8 giugno 2016 n. 2885; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 15 settembre 2011 n. 4402)

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