Associazione Mafiosa e scioglimento del consiglio comunale: presupposti

L’art. 143 del T.U.E.L., al comma 1 (nel testo novellato dall’art. 2, comma 30, della l. n. 94 del 2009), richiede che gli elementi capaci di evidenziare la sussistenza di un rapporto tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato devono essere «concreti, univoci e rilevanti» ed assumere una valenza tale da determinare «un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati».

Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono, quindi, caratterizzarsi per concretezza ed essere, anzitutto, assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale (Cons. St., sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1165).

Il Consiglio di Stato, anche nella sua più recente giurisprudenza (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 18 luglio 2019, n. 5077, Cons. St., sez. III, 17 giugno 2019, n. 4026), ha osservato che il condizionamento può rilevare come fattore funzionale, allorquando le cosche incidono sulla gestione amministrativa dell’ente, ricevendone sicuri vantaggi, e solo una valutazione complessiva, contestualizzata anche sul piano territoriale, può condurre ad un appropriato esame della delibera di scioglimento, quale tutela avanzata approntata dall’ordinamento giuridico, in virtù di una valutazione degli elementi, posti a base della delibera, che costituisca bilanciata sintesi e mai mera sommatoria dei singoli elementi stessi.

Ciò detto per completezza occorre evidenziare come gli stessi giudici amministrativi sottolineino come occorra evitare « che la eventuale “debolezza” degli elementi soggettivi e la eventuale “debolezza” di quelli oggettivi, nella ricostruzione dell’interprete, si “stampellino” reciprocamente, con il risultato di produrre un quadro dove la suggestione del disegno complessivo oscuri e nasconda il difetto di elementi concreti, ovvero la loro (incerta) rilevanza ed univocità» (Cons. St., sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876).

 In definitiva il nesso di interdipendenza che deve esistere tra gli elementi soggettivi – i collegamenti diretti o indiretti degli amministratori locali con le associazioni mafiose – e quelli oggettivi, tra i quali figura anche, ma non solo, il regolare funzionamento dei servizi affidati alla pubblica amministrazione, va valutato, complessivamente e non atomisticamente, secondo una logica probabilistica, tipica del diritto della prevenzione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758, Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105), alla quale sicuramente anche lo scioglimento di cui all’art. 143, comma 1, del T.U.E.L., per sua stessa finalità anticipatoria, appartiene, e non già secondo il criterio della certezza raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, propria dell’accertamento penale, perché la stessa giurisprudenza amministrativa ben avverte che «operazioni ermeneutiche del tipo indicato possono porre all’amministrazione, a maggior ragione nel caso di piccole comunità, che per dimensione, coesione interna e eventuale chiusura o limitata apertura verso l’esterno, offrono elementi di difficile reperimento e, ove raccolti, di incerta o difficile decifrazione», con «un costante e concreto aggancio ad elementi rilevanti ed univoci che, pur non assurgendo al rango di prova, contribuiscono ad indicare un percorso di ragionevolezza valutativa e di proporzionalità ed adeguatezza della misura adottata» (Cons. St., sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876).

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